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Uomo Ragno  #54.

 

 

Vacanze Romane. Part V

 

 

Di Yuri N. A. Lucia.

 

 

Villa Falconieri, Roma – Mercoledì ore 4.00 a.m.

 

 

L’ Uomo Ragno e Quest si fronteggiavano, l’uno completamente concentrato sul bersaglio, l’altra divertita, come se si trovasse di fronte ad un bambino indispettito. Warwolf e Rugantino erano rispettivamente di fronte a Ms. Perfection e Mr. Weird.

“Andiamocene.”

“Cosa?”

Dissero all’unisono, increduli per quanto aveva appena detto il Tessiragnatele. Non lo ripeté una seconda volta, si limitò solo a far esplodere un paio di tele d’impatto, saturando parte dell’ambiente con del fluido grigio che divenne una barriera tra loro e gli altri.

Quanto seguì fu molto veloce e quando i laser degli uomini di Quest ripulirono tutto, il terzetto era già sparito.

“Questa poi! Esclamò divertito ma anche spiazzato Weird. Da testa di tela non me lo sarei mai aspettato un numero del genere!”

Quando si voltò per cercare una risposta da Perfection s’avvide che questa a sua volta, stava silenziosamente fissando il loro capo e allora capì.

Lo sguardo di Quest era sufficiente.

 

“Ma perché!?”

Warwolf era allibito, colmo di rabbia e frustrazione. Si sentiva smarrito, tradito da quello che aveva sempre reputato essere il suo eroe.

“Perché? Si ostinò a ripetereTi prego, dammi una spiegazione che sia sensata!”

“Basta così, ragazzo.”

Lo ammonì Rugantino.

“Basta così?! Avevamo quel bastardo lì, a pochi metri da noi e dopo tutto il casino che abbiamo fatto per entrare nella sua base, ce ne scappiamo con la coda tra le gambe, senza sparare nemmeno un colpo! Questo secondo te ha un senso?! E perché lui se ne sta lì, senza dire mezza parola?”

“Non potevamo vincere.”

I due romani si girarano verso di lui. Gli dava le spalle ed ammirava il Sole che pigramente cominciava a levarsi dall’est e le stelle del mattino sbiadire al suo arrivo.

“Cosa vuol dire: non potevamo vincere?”

“Quest è fuori dalla nostra portata. Me ne sono reso conto solo oggi. Se ci avesse attaccato, non avremmo avuto una sola chance di uscirne vivi.”

“E perché te ne sei accorto solo ora?!”

Inveì Warwolf disperato. L’Uomo Ragno ci pensò su un po’, e poi decise, con suo stesso stupore, di dire loro la verità.

“Posseggo un potere di preveggenza. E’ limitato  soltanto al pericolo. Mi avverte, ad esempio, quando qualcosa sta per colpirmi o se sto correndo un rischio, o se qualcuno vuole farmi del male. Ogni volta che ho incontrato Quest, l’ho sempre sentito ronzare, come se mi stesse suggerendo di fare attenzione. Stasera è letteralmente esploso, con una forza tale che per poco non svenivo. Quest lo sapeva. Sapeva del mio potere, non so come ma lo sapeva. L’ha fatto apposta. Per un istante, solo per un istante, è stato sul punto di colpirmi. Anche solo il rischio che potesse farlo ha innescato il mio senso di ragno con un vigore soffocante. Ha voluto darmi un messaggio: se fossi andato oltre, non ci sarebbe stato ritorno. Non sono sufficientemente forte per affrontarlo. Non lo sei tu e non lo è neanche Rugantino.”

Il vigilante capitolino aveva ascoltato tutto senza interrompere. Il racconto dell’Uomo Ragno confermava i sospetti che aveva avuto su di lui. Li aveva fatti spostare alcuni secondi prima che quelli aprissero il fuoco sulla mansarda, salvandogli la vita e anche quando avevano combattuto, gli pareva che schivasse i suoi colpi con alcuni millesimi di secondo d’anticipo. Warwolf era atterrito. Aveva sentito la paura nelle sue parole e cominciò a provarne anche lui. Se un eroe con la sua esperienza ne aveva avuta, allora voleva davvero dire che si erano trovati tutti a un passo dalla morte. Cercò di farsi forza e di parlare chiedendo:

“E chi allora è abbastanza forte secondo te da fermarlo?”

“Non ne ho idea. Ricordo che una volta mi sono trovato di fronte ad un araldo di Galactus, e non ho provato un simile terrore. Ricordo che una volta mi sono ritrovato tra due Hulk inferociti, e non ho provato un simile terrore. Mi sono scontrato un paio di volte con il Fenomeno, e neanche allora ho provato una sensazione simile. No. Non ho proprio idea di chi sia abbastanza forte per fermarlo.”

Una cappa di silenzio opprimente scese su di loro e ognuno si ritrovò immerso nelle proprie riflessioni, chiedendosi cosa a quel punto avrebbero potuto fare.

 

 

 

East side, Giovedì  – Ore 11.30

 

 

L’Uomo Rana spiccò un possente balzo, aiutato dai suoi nuovi stivaletti. Niente più obsolete molle ma un booster ad aria compressa alimentato da combustibile solido stipato nella parte del polpaccio. Atterrò su un paio di tizzi che sorpresi, non riuscirono ad evitarlo finendo ambedue in terra svenuti con una brutta frattura alla mascella.

Bash estrasse la pistola infuriato ma quasi subito gli volò via di mano, ritrovandosi disarmato. Istintivamente si portò il polso al petto, massaggiandoselo ma prima che potesse realizzare cosa stesse accadendo, sentì una serie di colpi secchi e rapidi contro il volto e i fianchi.

Phantom Rider era veloce, rapido, colpiva in sequenza concentrando i suoi attacchi solo su zone specifiche del corpo spingendo nel frattempo indietro il suo opponente, fino a fargli perdere l’equilibrio rovinando pesantemente in terra. La parola d’ordine era stata rapidità e decisione. Effettivamente erano stati sia rapidi che decisi, facendo si che i criminali non avessero né il tempo di reagire, né tanto meno capire cosa stesse capitando loro.

La Rana si gettò con la schiena in terra, spiazzando così uno degli uomini di Bash che lo stava caricando a testa bassa, attutendo la caduta con la speciale protezione imbottita che aveva applicato all’interno della tuta. Alzò ambedue le gambe e un potente getto delle turbine applicate negli stivali colpì come la potenza del pugno di un peso massimo lo stomaco dell’uomo che per la sorpresa e lo shock si lasciò scappare un grido di dolore, finendo contro degli scatoloni ammassati quattro metri dietro di lui. Un rapido movimento del pollice sui comandi inseriti nel palmo del guanto, e i un cuscinetto d’aria generato dagli smart truster sulle spalle lo rimise rapidamente in piedi. Phantom si rese visibile a Bash che fu talmente terrorizzato dall’improvvisa e minacciosa apparizione da non riconoscervi lo spaurito ragazzo che aveva pestato solo il giorno prima. Usò il proprio mantello per intrappolarlo, gettandoglielo sulla testa e colpì con il taglio della mano dietro il collo provocandogli uno svenimento subitaneo. Tutto sembrava finito, quando una delle pareti divisorie del magazzino, esplose, e dal buco che ne venne, uscì una torreggiante sagoma squadrata.

“Oh cacchio!!! E’ un mandroide!”

Fece sbigottito Phantom Rider.

“No! Gli assomiglia ma non lo è…”

Controbatté l’Uomo Rana la cui paura era stata tosto sostituita da una forte curiosità. L’esoscheletro da combattimento era alto più di tre metri, di forma massiccia, le braccia lunghe oltre l’articolazione del ginocchio, la testa trasparente che lasciava intravedere il volto ghignante dell’uomo al suo interno, gli arti che terminavano in tre tozze dite divise in tre falangi. Aprì i palmi e da delle aperture circolari poco prima chiuse da un diaframma, uscirono due cannoncini. Eugene capì subito di cosa si trattava:

“Phantom! Via di lì!”

Una scarica di raggi repulsori si abbatté sulla serranda dietro di loro, riducendola ad un ammasso contorto di lamiere. Derek si era scansato proprio all’ultimo istante e aveva sentito l’aria vibrare sinistramente al passaggio del raggio. Sapeva che se ne fosse stato investito, le sue ossa si sarebbero ridotte in polvere. Istintivamente reagì divenendo di nuovo invisibile ma se il suo meccanismo di occultamento naturale era efficace con i sistemi video della macchina, non lo erano altrettanto con quelli di rilevamento calore. Capì di trovarsi di nuovo sulla traiettoria del mostro di metallo ma poco prima che questi aprisse il fuoco, Eugene gli fu addosso, colpendo con un doppio calcio potenziato l’elmetto. Ottenne l’effetto di farlo oscillare così ché anche il secondo colpo non andasse a bersaglio ma facesse esplodere tutti i vetri di una Plymouth del ’68 parcheggiata all’interno del magazzino e appartenuta ad uno degli uomini di Bash, mandandole in pezzi il tettuccio e parte dei sedili. Purtroppo la sollecitazione era stata eccessiva per le turbine ed entrò immediatamente in funzione il sistema di sicurezza e la centralina le spense. Non aveva più le sue capacità di salto, almeno per i prossimi 35 secondi stando a quanto indicava il timer inserito nel visore. Inoltre il contraccolpo del calcio, gli aveva fatto provare una fitta di dolore proprio nei punti in cui era ferito. Sapeva che non si sarebbe mai scansato in tempo per evitare l’attacco che ora gli veniva rivolto contro e che Phantom Rider non avrebbe potuto far nulla per aiutarlo. Pregò che il suo piano avesse avuto successo.

La delicata e flessuosa figura blu fece la sua comparsa all’improvviso, come se fino ad un attimo prima fosse stata parte delle ombre che avvolgevano parte di quel luogo. Aggirò con grazia e rapidità l’uomo e il suo esoscheletro, portandosi di fianco, e lui la squadrò infastidito da dietro il vetro blindato ancora intatto dell’elmetto. Senza dire nulla, lei cambiò il senso della sua corsa e con sorpresa di tutti si gettò tra le gambe del colosso passandovi attraverso. Quando questi reagì voltandosi con una rapidità sconcertante per una macchina di quelle dimensioni, fu subito chiaro cosa Blu Bird avesse fatto. Un cavo di un materiale molto resistente, ne avvolgeva gli arti inferiori e il suo stesso movimento lo fece serrare, provocandone la caduta.

“Svelti! Dobbiamo andarcene. Non durerà molto.”

Aveva ragione, stava già sottoponendo il suo legaccio alla pressione delle gambe ed ora già le mani correvano a dargli man forte. Pochi secondi ancora e si sarebbe liberato.

L’Uomo Rana invece, rimase dove era con stupore delle ragazza e del compagno e senza perdere tempo eseguì un balzo proprio sulla schiena della macchina di distruzione. Phantom aveva scambiato quel coso per un mandroide perché effettivamente doveva trattarsi di un modello derivato da quelli in dotazione dello S.H.I.E.L.D., probabilmente di fabbricazione est europea ma sufficientemente simile all’originale da trovarci, dove avrebbe dovuto, quello che cercava. Usò una speciale chiave cortocircuitante ideata da Scorch per cortocircuitare le serrature elettroniche inserita nel bracciale destro e aprì il pannello all’altezza della spalla sinistra contenente la centralina che controllava il quadrimotore degli arti. Non andò per il sottile e strappò tutti i cavi che trovò provocando un unico violento spasmo nella macchina che lo scaraventò lontano. Per sua fortuna Phantom e Blu Bird si erano mossi in fretta e lo presero, anche se questo li fece cadere in terra. L’esoscheletro era fuori uso, inoltre, proprio come nei vecchi modelli mandroidi da cui era stato derivato, possedeva un pericoloso difetto di fabbricazione. Quel tipo di guasto, provocava il cortocircuito della serratura elettrica e non era possibile per il pilota venirne fuori, se non con un paziente uso della sega circolare da parte delle squadre di soccorso. L’uomo al suo interno l’aveva appena capito, dopo che premette violentemente più e più volte il comando di apertura. Il sistema di espulsione d’emergenza, non funzionava quando l’armai si trovava in posizione orizzontale e dunque era virtualmente intrappolato al suo interno.

Eugene dette un occhiata ai due ragazzi, che lo fissavano preoccupati e dopo qualche istante di silenzio, alzò il pollice verso l’alto abbandonandosi ad una fragorosa ed allegra risata.

 

 

Piramide Cestia.  Mercoledì Ore 9.30 a.m.

 

 

 

Uno dei mestieri più in voga tra i giovani romani in quegli ultimi tempi, era quello di intrattenitori turistici. Si girava in costume d’epoca per la città, dando inviti per manifestazioni e spettacoli, informazioni di carattere storico e culturale ai turisti che affollavano sempre l’Urbe. Qualcuno, si vestiva da super eroe e di solito erano quelli che rilasciavano omaggi per discoteche o particolari eventi. Non erano molto distanti da Trastevere, e c’erano diverse comitive di visitatori provenienti da tutte le parti del mondo che scendevano da grandi pullman. I passanti, anche se gli schioccavano delle occhiate incuriosite e divertite, non ci trovano nulla di troppo strano nel vedere l’Uomo Ragno ed i suoi amici aggirarsi a piedi in pieno giorno in quella parte della città, pensando trattarsi di ragazzi intenti in un lavoretto part time per guadagnarsi qualche soldo.

“La tua tattica funziona.”

Fece compiaciuto il Ragnetto mentre passava indisturbato tra le persone che comunque non si esimevano dal fare qualche ilare commento.

“Te l’ho detto. ‘sta città la conosco bene e meglio ancora conosco i suoi cittadini.”

Fece di rimando allegramente Rugantino che salutava tutti con un cenno della mano.

“Io mi sento incredibilmente a disagio!”

Fece Warwolf, il cui aspetto, non mancava di strappare mormorii di ammirazione ed inquietudine a chi gli si avvicinava.

“Non muovere troppo la bocca o capiranno che non sei mascherato.”

Fece il vigilante romano.

“Dopo non potrò concorrere a miss Italia?”

Ribatté caustico il lupo, suscitando le risatine dell’Uomo Ragno.

“Questa non era male ragazzo. Denoti un certo stile ed un certo sense of humor. Dovrei portarti con me a New York, lì faresti un successone tra i cattivi.”

“Gli piacciono le battute?”

“Sai, essere pestati è una gran brutta cosa. Quindi sono contenti quando qualcuno lo fa con classe, eleganza e, perché no, con umorismo.”

Warwolf assentì affascinato da quel discorso, mentre Rugantino arretrò leggermente per non far vedere i fremiti che scuotevano le sue spalle mentre ridacchiava divertito.

“Sei sicuro che questo tipo ci potrà aiutare?”

Chiese l’Uomo Ragno con una nota di preoccupazione che si era di nuovo fatta strada nella sua voce.

“Si, ne sono certo. E’ il tipo adatto e poi, se dovesse servire potremmo metterci in contatto con i tuoi amici delle Brigate Azzurre.”

Rispose pacato Rugantino che guardava con condiscendenza il giovane lupo la cui attenzione era focalizzata dal passaggio di due avvenenti turiste polacche.

“Un forum su internet! Che idea! Forse una volta a casa dovrei farlo anche io. No, meglio di no, visto il mio altalenante grado di popolarità ci troverei più minacce che altro. E poi con quello che costa farsene fare uno.”

“Se vuoi me ne potrei occupare io.”

Fece Warwolf il cui interesse era tornato rapidamente a concentrarsi sui compagni.

“Ne sei capace?”

“Non sono un mago del computer ma un sito in java te lo so accroccare.”

“Accroché?”
”Un espressione romana per dire… improvvisare, più o meno. E poi già ne hai diversi.”

“Davvero? Non mi risultava!”

“Non hai mai visitato ad esempio, quello del tuo fan club?”

“Ah, è vero, dimenticavo che c’è qualche matto che mi considera un eroe.”

“Hey! Io sono uno di quelli… mi ci sono pure iscritto al fan club Amici dell’Uomo Ragno.”

“Bello! Suona come un super gruppo! Magari dovrei pensarci davvero a formare un team con questo nome. E che cosa ti hanno dato per la quota di iscrizione.”

“Un paio di belle magliette, degli adesivi, un poster gigante, il cappellino e l’accesso alla sezione soli soci del sito.”

“E cosa ci sarebbe di interessante da vedere nella sezione soli soci del sito del mio fun club.”

“Beh, foto in esclusiva di te realizzate dai tuoi fan, più una ricca raccolta di disegni, gente che si traveste come te, notizie, curiosità, quiz a premi e… le spiderette.”

“Cosa?!”

“Si, sono le tue fan sai… quelle più accanite che si vestono con costumi ispirati al tuo o magari da Donna Ragno e…”

“E…?”

“Sono un po’ come le playmate di Playboy… solo, per l’appunto, in versione ragnesca.”

“Oddio…fece imbarazzato e stupito l’Uomo Ragno non posso crederci! Non ne avevo idea! Se lo avessi saputo prima…”

“Non dirmi che non ci hai mai fatto un giro sul tuo sito o che non hai la password per quel materiale.”

Disse Rugantino che sotto la maschera era paonazzo per il ridere.

“Non è il mio sito! E.. beh, si, ogni anno incontro quelli del fan club che mi danno una password personale ma… non ho mai avuto il tempo di visitare il sito…”

Improvvisamente, balenò con chiarezza nella sua mente una battutina che gli fece sua moglie i giorni precedenti al loro matrimonio. Sul momento non aveva capito l’allusione e aveva archiviato la cosa in un angolo della sua mente. Ora tutto le risultava chiaro. M.J. era andata a visitare il sito e aveva visto le foto delle spiderette. Si portò una mano sul volto, scuotendo la testa in segno di disappunto.

“Coraggio, non fare così! Avessi io un sito dedicato a me con delle belle rugantine che si mettono in mostra per il loro eroe… ah, eccoci, siamo arrivati.”

Si fermarono davanti ad un portone di un palazzotto piuttosto vecchio, un po’ defilato rispetto agli altri e non molto distante dalla piramide.

Rugantino suonò a colpo sicuro ad un interno senza nome e qualche istante dopo venne fatta scattare la serratura. Il trio entrò all’interno dell’androne sporco ed oscuro, venendo investiti da una puzza di muffa e stantio che fece arricciare loro il naso, soprattutto a Warwolf che ne pareva parecchio contrariato. Salirono degli scalini di pietra così vecchi da essere stati incurvati dall’usura e dal tempo, costeggiando mura il cui intonaco cadeva a pezzi da anni divorato dall’umidità. L’Uomo Ragno gettò un occhiata al basso, e vide che in terra era riversata una gran quantità di sporcizia, probabilmente gettata dagli inquilini dello stabile che poco si curavano dell’igiene. Ora era Rugantino a guidare la fila e, giunto davanti ad una vecchia porta di legno, bussò tre volte, attendendo con pazienza.

“Vedrai, fece sicuro di sélui si che potrà aiutarci. Non credo esista qualcuno di più adatto.”

Quando la porta si aprì, ebbe un sussulto e con lui i suoi compagni.

La donna che si affacciò era sulla cinquantina, corpulenta, seni enormi che strabordavano fuori dalla succinta e lisa vestaglia di flanella color rosa. I capelli ricci arruffati ed in disordine, il trucco pesante fatto di recente, di evidente controvoglia. Sigaretta accesa pochi istanti prima in bocca e l’aria vagamente assonnata. Dette un occhiata a Rugantino e l’Uomo Ragno.

Guardate che io la calzamaglia non me la metto. Quindi scordatevi Scarlatta, la Donna Invisibile o cose simili.” Gettò un occhiata a Romeo, visibilmente imbarazzato e senza parole.” Non ho problemi con i mutanti. Però lui conta come zoofilia, quindi tariffa doppia. Allora, chi di voi vuole essere il primo a venire con la vulcanica Raffaella, la più calda guagliona dello Vesuvio? Oppure volete divertirvi tutti insieme?

“ Ragazzi. Hey, ragazzi! Sono qui!Rugantino e l’Uomo Ragno, entrambi esterrefatti si voltarono verso la voce che li chiamava mentre Warwolf continuava a fissare la donna senza dire nulla.” Bella Rugantì! Scusa ma mi ero dimenticato di dirti che mi sono trasferito nell’appartamento di fronte. Quando ho visto che tardavate ci ho pensato e così mi son detto…  Oi, ciao Raffa! Come và oggi? Tutto bene? Sai, loro sono miei amici. Eheheheheh, non sapevano che abbiamo fatto a scambio di casa.

La donna rise divertita e lo apostrofò scherzosamente. Si dette un bacio sull’indice che appoggiò sulla guancia dell’inebetito Warwolf e si ritirò nel suo appartamento.

 

Aglio, oglio e peperoncino, esci fuori da questo corpicino…       

L’Uomo Ragno stava cercando di seguire i bizzarri eventi che si succedevano in un film le cui immagini, piuttosto rovinate, passavano su di un piccolo e vecchio televisore color rosso e recante una consunta scritta Irradio, appoggiato ad una sedia dall’aria traballante. C’era un uomo alto e allampanato, con un buffo paio di baffi che urlava formule a lui incomprensibili e un altro, grassoccio e mezzo calvo che si produceva in una serie di smorfie grottesche eppure, inesplicabilmente divertenti.

“E’ l’Esorciccio!”

“Cosa?”

Chiese l’Arrampicamuri e a Warwolf che si era messo a seguire con lui divertito il film.

“E’ una paradia dell’Esorcista di Friedckin, con Ciccio Ingrassia e Lino Banfi, due attori comici famosi per le numerose commediole girate negli anni ’70.”

Intanto Rugantino sfogliava una rivista di moda che fino a qualche attimo prima stava sulla lavatrice, che curiosamente si trovava nella cucina.

“Io e Raffaella, abbiamo fatto uno scambio. Lei si è presa il mio appartamento che è più grande e in cui può lavorare meglio. Io questo.”

Disse il ragazzo alto, con un incolta zazzera che gli ornava la testa dall’alta fronte e dalle mascelle squadrate, in cui dardeggiava uno sguardo da perenne assonnato, come di chi se la prende comoda in qualsiasi situazione.

“E quale sarebbe stato il tuo vantaggio?”

Chiese l’Uomo Ragno girandosi verso di lui che intanto versava il caffè in dei bicchierini recanti la scritta in giallo buon caffè.

“Pago un terzo dell’affitto che pagavo prima. Se pensi che sono un single dalle scarse entrate, per me è un bell’affare.”

Il Ragnetto dette un’occhiata a Rugantino che fece spallucce, continuando a leggere la rivista.

“Così saresti un esperto in pratiche occulte, una specie di mago? Come ti devo chiamare? Dr. Polidori?”

“Noooo!!! Per carità Uomo Ragno! Non lo dire neanche per scherzo! Non sono ancora laureato e di certo saprai che porta una sfiga allucinante chiamare qualcuno dottore prima della laurea! Neanche io con tutti i mie arcani poteri potrei rimuoverla con facilità e visto che già ho numerosi problemi a portare a termine i miei studi…”

L’Uomo Ragno lanciò di nuovo un occhiata a Rugantino, ancora più insistente ,a questi continuò a far finta di niente. Alzò per un attimo lo sguardo in alto, incontrando sulla sua visuale prima il malconcio lampadario, poi un quadretto affisso al muro raffigurante una madonnina che indicava sul suo petto il Sacro Cuore. Tornò a rivolgersi al sedicente mago.

“Capisco… e da quanto tempo ti occuperesti di… magia?”

“Ho praticamente iniziato da bambino. Sai, nella famiglia di mio padre ci sono sempre state persone con facoltà particolari o dotate di, diciamo così, una visuale più ampia sulla natura metafisica e paranaturale di determinati accadimenti. Mia nonna leggeva i tarocchi e toglieva il malocchio. Mi  insegnò qualche innocua formula di incantamento ma l’approccio serio lo ebbi qui a Roma, quando cominciai a venirci per frequentare le superiori. Ho fatto ragioneria, anche se il mio sogno era fare il classico… ma mio padre diceva che doveva tenere i piedi per terra e…scusa, cos’è che dicevo? Ah, si, ero un ragazzino piuttosto emarginato e trovavo un certo piacere nello studio da autodidatta delle pratiche occulte. Giravo per biblioteche e canali un po’ più sotterranei, leggendo e studiando tutto quello che trovavo. Poi fui notato da quello che divenne il mio maestro. Il resto è storia noiosa e poco interessante ed eccomi qui, Mago custode dei segreti di Roma… L’Uomo Ragno notò che Polidori lanciò un occhiata incuriosita a Romeo, una delle tante che gli aveva scoccato da quando si trovavano lì. Ma passiamo ai vostri problemi.”

“Senti… Polidori… non vorrei sembrarti scortese ma…”

Il ragazzo lo fermò con un gesto.

“Aspetta. Non dire nulla. Capisco le tue riserve. Io non sono proprio il Dr. Strange ma ti assicuro che non sono da meno. Facciamo così: beviamoci questo buon caffè e poi spostiamoci nel mio Sancta Sanctorum.

L’Uomo Ragno non replico nulla e, insieme agli altri, bevve la sua bevanda calda trovandosi a dover ammettere tra sé e sé che quel caffè era davvero buono.

 

 

Central Park, New York City – Mercoledì, ore 5,46 p.m.

 

 

Non capiva. Era sicuro di averla vista imboccare quel viale solo pochi attimi prima e non poteva di certo essere stata così veloce da percorrerlo tutto. Bestemmiò a denti stretti, lasciando scivolare di nuovo il coltello dentro il marsupio che aveva rubato a quella coppietta nel New Jersey.

Quando si voltò la mano a palmo semi aperto di Mary Jane lo colpì, proprio sotto il naso.

 

Gli ci volle un po’ prima di riemergere dalle tenebre in cui era piombato. Sentiva ancora su di sé il peso delle ombre che solo pochi istanti prima lo avevano avvolto e quando tentò di muoversi, scoprì con suo grande sconcerto di avere mani e piedi bloccati.

“Salve papà. Ben svegliato. Sai, guardandoti così mi sembra di essere tornata ai bei vecchi tempi. Quando ti trovavo sul divano o sul pavimento, a smaltire la sbornia. Erano davvero momenti felici quelli, perché voleva dire che non eri riuscito ad arrivare fino alla camera per picchiare la mamma.”

“Tu…”

Tentò di ringhiare Philip Watson ma un attacco di tosse gli impedì di terminare la minaccia. Sua figlia, per nulla spaventata, stava appoggiata ad una grande roccia, le braccia conserte, lo sguardo carico di disapprovazione mista a vergogna.

“Cosa? Sentiamo se il tuo repertorio di insulti è stato aggiornato di recente. In prigione ne avrai sentite parecchie, vero?”

“Non hai idea di cosa tu mi hai fatto!!!! In prigione io…”

“Che c’è? Perché non termini la frase? Hanno abusato di te?”

Phil sgranò lo sguardo, il ricordo che ancora lo tormentava lacerandogli l’anima. La paura quando quei quattro lo circondarono fuori dagli spogliatoi, l’umiliazione quando lo costrinsero a terra, il dolore…  gorgheggiò, in un misero tentativo di replica ma Mary, imperterrita, lo incalzò.

“E’ stato terribile, vero papà? Come ti sei sentito? Indifeso? Abbandonato? Violato? Sai, era così che si sentiva la mamma tutte le volte che tu le mettevi le mani addosso e così ci sentivamo io e mia sorella. Ah, si, la tua cara Gayle che avrebbe dovuto pagare per i tuoi crimini. Cosa dovrebbe dire la tua figlioletta? Mi dispiace babbino, sono addolorata per te. Dovrei dirtelo, si ma non lo dirò perché non riesce ad importarmene veramente. Si, hai capito bene. Non me ne importa nulla Philip. Io non ho più un padre da anni e tu, tu sei solo un patetico delinquente che si è distrutto la vita con le proprie mani. La cosa raccapricciante è che volevi trascinarti noi dietro. Dimmi un po’, cosa volevi fare venendo qui?Chiese mentre sentiva il livore crescerle dentro e riversarsi prepotente nelle sue parole.  Volevi vendicarti? Volevi farmi del male? Volevi far del male a me e ai miei cari? Ti sarebbe piaciuto giocare al numero del genitore psicopatico che torna per farsi giustizia? Invece sei stato un fallimento anche in questo. Bisognerebbe comunque darti un premio alla coerenza, questo lo devo ammettere. Pensavi di mettermi paura? Pensavi che me ne sarei stata in un cantuccio a tremare quando avessi saputo della tua rocambolesca evasione? Invece no! Negli ultimi anni c’è stato un certo numero di maniaci che si è divertito a perseguitarmi e quindi mi sono messa nell’ordine di idee di imparare a difendermi da sola. Non si può sempre contare sugli altri nella vita. Ho avuto dei bravi trainer e ho scoperto che quando voglio la grinta non mi manca. In quanto a fisico, posso sostenere uno scontro anche con uomini di grossa stazza. Tu, del resto, non sei neanche un vero uomo. Sei solo una patetica caricatura d’uomo. Allora? Dopo tutti questi chilometri, questo nascondersi e fuggire per venire da me, hai o no qualcosa da dirmi?”

Philip la guardò con odio. Un odio bruciante, che gli faceva a brani l’ultimo residuo di coscienza che ancora possedeva.

“Puttanella bastarda… pensi che sia finita qui? Prima o poi riuscirò di nuovo ad evadere e allora si che imparerai cosa vuol dire avere paura. Me la pagherai tu, tua sorella, il tuo bel maritino e anche la vostra figlioletta…”

Mary Jane aveva ascoltato con calma, senza scomporsi, guardandosi le unghie della mano. Poi, senza fretta, gli si avvicinò. Per un istante, il suo sguardo si raddolcì e Phil ne fu disorientato. Un attimo dopo, Phil sputò sangue sull’erba all’ombra del sempre verde dove sua figlia lo aveva trascinato, per effetto del calcio allo stomaco che aveva ricevuto.

“Allora non ci siamo affatto capiti. Ascolta bene nullità, perché non intendo ripetertelo. Non sei niente. Non vali niente. Non  puoi fare proprio niente. Mettitelo bene in testa. Fai solo una mossa falsa. Dammi solo modo di pensare che in quella mente malata si stia agitando anche solo la fantasia di far del male a me o a qualcuno dei miei cari, e ti giuro che ti renderò la vita un vero inferno. Fin’ora non mi sono mai vendicata di te perché mi facevi troppa pena ma stavolta hai commesso un grande errore. Avresti dovuto scontare buono buono la tua pena e poi, una volta uscito di carcere, sparire per sempre. Ora non solo ti raddoppieranno il soggiorno in prigione ma mi occuperò personalmente di sorvegliarti. Sono una top model strapagata, un’attrice di successo e ho amicizie alto locate. Ho anche molti fan che per me sarebbero disposti a fare di tutto. Sai, gli psicopatici delle volte tornano utili. Ci siamo capiti?”

Phil tossì violentemente, la bocca sporca di liquido rosso e viscoso. Di nuovo quella paura che aveva conosciuto in carcere lo stava pervadendo e si limitò ad assentire terrorizzato con la testa.

Mary Jane sorrise soddisfatta.

 

Rucker e Kaine le corsero incontro, e la tempestarono preoccupati di domande.

“Tutto bene tigrotti, non vi preoccupate. La sottoscritta qui ha risolto tutto. Dovrei entrare nel giro dei super eroi anche io, sapete? Magari i Vendicatori o i Difensori hanno bisogno di un aiuto extra. Mi ci vedete? Bella e famosa attrice di giorno, implacabile nemica del crimine la notte.”

Rucker e Kaine si scambiarono un’occhiata interrogativa e quest’ultimo le chiese:

“Sei sicura di sentirti bene? Lui dov’è?”

“E’ lì, dietro quegli abeti. L’ho trascinato lì per farci una chiacchierata. Sai, ho preso diverse lezioni di autodifesa ma le dritte migliori me le ha date Peter.”

Rucker sorrise.

“Lo immaginavo. Lasciamelo dire M.J., tu si che sai rimettere al loro posto certe persone. Non preoccuparti, questa volta butteranno via la chiave della sua cella.”

“Rucker ha ragione M.J., tu e May ora siete al sicuro e sei stata tu a fare tutto quanto. Sono fiero di te!”

“Ed io di me stessa. Scusate ragazzoni ma ora voglio andare a casa per prepararmi. Immagino che dovrò dare la mia testimonianza alla polizia. Rucker, senti, parlandogli sono stata, per così dire rude… e…”

“Non dire altro. Vai, riposati ,e passa in centrale con comodo stasera. Mi occuperò io di tutto. Tu, ricordati, ti sei solo difesa.”

“Grazie.”

“Ci mancherebbe. Sono talmente tanto in debito con tuo marito che non basta di certo questo a saldare il conto.”

Lei dette un bacio affettuoso alle guance dei due uomini e si incamminò all’uscita del parco.

“Bene Abel, andiamo a ritirare la spazzatura.”

“D’accordo. Non sono mai stato tanto contento di andare a prendere dell’immondizia come adesso.”

 

 

 

Appartamento di Giovanni Guglielmo Polidori, Piramide Cestia, Roma – Mercoledì ore 10,00 a.m.

 

 

Per quanto incredibile potesse apparire, la camera di Polidori era  persino più disordinata e lurida del resto del minuscolo appartamento. C’erano ovunque mucchi di calzini e biancheria sporca, magliette logore che penzolavano dai pomelli del letto, mucchi di carta scarabocchiata su pile e pile di libri di vario genere, un paio di riviste pornografiche che facevano bella mostra di sé su una scrivania dall’aria malconcia, la scatole di Dungeon  & Dragons e Advanced Dungeon & Dragons che erano tenute sorprendentemente separate dal resto del caos e prive del benché minimo strato di ogni presente polvere che tutto copriva, un pc che aveva tutta l’aria di essere stato usato nelle trincee durante la Grande Guerra che se ne stava in terra, montato in un angolino della stanza e le pareti letteralmente ricoperte da poster ingialliti di vario genere. Poison , Motley Crue, Miles Davis, Fates Warning, i fratelli Marx, un certo Totò, un tale Er Monnezza, uno del Cavaliere Pallido che riconobbe subito, uno di C’era una volta in America l’Uomo Ragno aveva visto la prima volta con il suo caro amico Harry e che gli era piaciuto tantissimo, poi poster di Scarlet, She hulk, e altre super eroine.

Tolte le riviste pornografiche gli sembrava di essere tornato nel suo vecchio appartamento di quando era studente, e provò un tuffo al cuore. Poi si ricordò che effettivamente un paio di numeri di Penthouse li aveva avuti anche lui. Un goliardico regalo del buon vecchio Flash.  Sentì la nostalgia alitargli sul cuore e la ricacciò subito dietro con il suo solito vecchio metodo: parlare.

“Hai dei gusti particolari, dico in fatto di donne.”

Polidori si voltò verso di lui, sorridendo sornione:

“Ammetterai che sono due gran pezzi di figliole. She hulk,  2 metri per 295 kg di super sexy babà di giada. Scarlet, 1,70 per 59 kg di selvaggia e aristocratica bellezza gitana. Darei il braccio destro e pure quello sinistro per una notte con queste due figliole.”

“E poi come faresti senza braccia?”

Commentò ironico l’Uomo Ragno.

“Con loro due nel mio letto, chi ha bisogno di braccia? Lascio fare tutto a loro! Scommetto che tu sei più tipo da lei.”

Indicò con la testa un poster attaccato proprio al soffitto su cui c’era una foto di repertorio della prima Donna Ragno. Il Ragnetto, senza volerlo, si ritrovò a fissarla e si disse che effettivamente, soprattutto in gioventù, ci aveva fatto spesso e volentieri più di un pensierino sulla conturbante bellezza della collega di ragnatela.

“Comunque questo sarebbe il tuo Sancta Sanctorum?”

Chiese tornando a concentrarsi su di lui.

“Questa è la mia umile stanza. Mirate e stupitevi, gente di poca fede!”

Si voltò verso un poster a grandezza naturale di Susan Richards, alzò entrambe le mani con i palmi ben aperti verso di lei, all’altezza dei seni, e per un istante mormorò:

Rimani sempre quella pìù di classe, bellezza! Lux et Tenebra, Aperite, Polidori est!

L’aria davanti a lui oscillò, ondeggiando davanti allo sguardo incuriosito del terzetto che si trovava alle sue spalle. L’immagine della Donna Invisibile cominciò a rimpicciolirsi e si resero quasi subito conto che era come se il poster si stesse allontanando. Alla fine sparì dalla loro visuale e rimase solo una apertura da cui fuoriusciva una luminescenza arancione pulsante.

“Et voilà! Seguitemi ragazzi! Venite a vedere quanto è profonda la tana del bianconiglio!”

“Hey! Guarda che i fratelli Watchosky potrebbero farti causa!”

Lo rimproverò Warwolf.

L’Uomo Ragno si scambiò un ultima occhiata con Rugantino e dopo aver dato un buffetto sulla spalla del ragazzo, si misero in marcia, seguendo il mago che si era già incamminato all’interno dell’apertura, venendo quasi subitaneamente avvolto dalla morbida e riposante luminescenza.

Prima di varcare la soglia, il Tessiragnatele dette un’ultima occhiata al poster della Donna Ragno e si chiese, se dati gli evidenti gusti, Polidori non avesse approfittato dei particolari servigi della vicina. Scosse il capo e si dette dello stupido. Quelli di certo non erano fatti suoi e aveva cose ben più importanti a cui pensare.

 

L’ambiente in cui si trovavano aveva la forma di un trapezio rovesciato, così si disse tra sé e sé l’Uomo Ragno. Nessuna apertura visibile, una luminescenza che si propagava direttamente dalle mura costituiti da grandi blocchi di pietra candida. Il passaggio che avevano percorso si era richiuso alle loro spalle ed ora si trovavano ad osservare Polidori che si era accomodato su di uno scranno di legno finemente cesellato. C’era un grande tavolo circolare su cui spiccavano dei segni runici intagliati, un altare di marmo bianco latte su cui erano visibili scritte in latino che l’Arrampicamuri, memore di alcune nozioni che aveva di quella lingua morta, tradusse come formule per ingraziarsi i Lari e i Penati.

“Benvenuti nel mio Sancta Sanctorum, la mia Fortezza della Solitudine se preferite, il mio studio professionale. Abbiamo attraversato lo spazio e il tempo, grazie ai miei arcani poteri, per giungere qui, dove pochi sono stati ammessi, in questo luogo di antichi misteri la cui ubicazione è sicuramente un mistero per voi…”

“Siamo all’interno della Piramide.”

Commentò tranquillo l’Uomo Ragno.

Polidori sgranò gli occhi, rimanendo a bocca aperta.

“Non è possibile! Ma come hai fatto!!! Nessuno poteva capirlo!!!”

“Polidori, due cose: uno, l’interno è fatto di blocchi molto simili a quelli che costituiscono l’esterno. Due, ho tirato ad indovinare e tu con la tua uscita, hai confermato la mia ipotesi. Ti consiglio caldamente di riflettere, prima di lasciarti andare ad  esclamazione, se vuoi difendere i tuoi segreti.”

Ancora uno sguardo verso Rugantino come a chiedergli se fosse davvero sicuro che quel ragazzo avrebbe potuto in qualche modo aiutarli. Ancora spallucce e silenzio.

“Molto astuto Uomo Ragno! Non è un caso che tu sia uno dei super eroi più famosi dell’intero globo! Farò prezioso tesoro di questo insegnamento e vedrai che in futuro sarò assai più avveduto e saggio.”

“Ne sono sicuro… ora, tornando a noi, vorrei sapere in che modo ci potrai aiutare con il nostro amico, Quest.”

“Innanzi tutto, devo poter determinare chi e, soprattutto, cosa sia. Rugantino mi ha spiegato per sommi capi. Tu gli hai detto che possiede la facoltà di cambiare forma corporea, e non identificati poteri la cui portata però dovrebbe essere terrificante. Se si trattasse di un mutante, o un paraumano, dovreste rivolgervi ad uno scienziato.”

“E se non si trattasse né dell’uno, né dell’altro?”

“Allora ci sarebbe da prendere in considerazione la magia, e qui entreremmo nel mio campo. Purtroppo, nessuno di voi ha avuto un contatto diretto con Quest nelle ultime ore e questo è un male.”

“Perché?”

“Perché tutto, proprio tutto, può lasciare una traccia, magia compresa e gli incantesimi sono un po’ come le impronte digitali. Lo stesso incantesimo, pronunciato da due maghi differenti, lascerà tracce simili ma distinte.”

“Chi esercita un incantesimo, in un certo senso lo personalizza? Scusa la domanda ma io di queste cose non ci capisco un accidente.”

“Nessun problema, io in scienze sono un imbranato. Si, in un certo senso è così. Ogni essere umano ha un suo dweomer, il termine usato da alcuni mistici per descrivere l’aurea magica che ci avvolge. Anche chi non è dotato di poteri magici ne possiede una, d’intensità chiaramente minore rispetto ad una persona edotta di pratiche paranaturali o  dotata di qualità mistiche innate. Questo dweomer lascia sempre una sua leggera impronta e questa si intensifica quando si opera un incanto, una stregoneria, e se ne sovrappone ai residui.”

“Un po’ come se fossero, delle radiazioni?”

“In un certo senso, l’analogia calza. Solo che la durata di queste impronte è notevolmente inferiore a quella delle radiazioni e spesso spariscono nel giro di un giorno o anche meno, tranne nei casi in cui ci si trovi in ambienti particolari, come un Sancta Sanctorum, una camera mistica, insomma, un luogo progettato appositamente per accumulare e preservare il mana impedendone la dispersione.”

“Quindi se Quest fosse un essere dotato di particolari facoltà, un mago o uno stregone insomma, tu lo potresti scoprire solo se su di noi fossero rimasti sufficientemente a lungo residui di questo suo… dweomer?”

“O magari di un suo incantesimo, si. Ascolta, siete stati in un ambiente dove magari le sue emanazioni sono rimaste più a lungo e quindi si sono conservate meglio. Userò un particolare strumento, estrasse dal taschino posteriore dei jeans una specie di pendolino, una pietra color arancio legata ad una catenella che sembrava fatta d’ottone come se fosse un contatore geiger. Avvicinatevi a me e allungate una delle vostre mani, con il palmo aperto e rivolto verso l’alto.”

L’Uomo Ragno lo guardò, reclinando un po’ il capo sulla sinistra.

“Magari anche questa domanda ti suonerà idiota. Come mai proprio le mani? Voglio dire, non l’abbiamo toccato, magari i residui sono nei piedi, o  sui nostri costumi.”

Polidori aveva assunto un espressione compiaciuta e sorridendo:

“Sei davvero un tipo intelligente! Le domande sono il segreto. Trova le giuste domande e troverai le giuste risposte. Qual è il segreto dell’Uomo? Cosa lo rende tanto speciale? La Dura Madre?* No, quel sottile rivestimento non può renderci tanto speciali. Sono le mani! Le mani. Esse sono il nostro portale d’accesso alla Conoscenza più elevata. E’ con le mani che esploriamo il mondo circostante, che lo saggiamo, soppesiamo, misuriamo e sempre con esse forgiamo, costruiamo, modifichiamo, prendiamo, allontaniamo. Le mani sono il punto focale del nostro potere come razza ed è nelle mani che solitamente il dweomer è per così dire, più spesso, complesso, potente. L’energia mana ne è attirata, come il ferro da un magnete, e anche se magari è un’altra parte del corpo che ne è venuta a contatto, tempo pochi secondi e questa tenderà a spostarsi sulle mani. Ed ora, iniziamo la seduta.”

Li fece avvicinare all’altare di marmo e con un gesto, fece brillare le lettere delle iscrizioni che sotto i loro occhi, cominciarono prima a vibrare, poi, come se si fossero animate, a danzare, scambiandosi di posti, intrecciandosi, scivolando via, e la superficie divenne prima opaca, poi del tutto trasparente. Ne emerse un globo luminoso, arancione, che si sollevò a tre metri d’altezza sopra le loro teste. I tre allungarono le mani, come richiesto, e Polidori cominciò a far oscillare il pendolino a pochi cm da esse, facendogli descrivere un cerchio.

Mandò alcuni mugugnii, come di chi stesse attentamente cercando qualcosa, ponendo la massima attenzione a non lasciarsi sfuggire nulla.

Il globo iniziò ad emettere prima un sibilo, un suono sordo e sommesso, poi un leggero fischio che, di secondo in secondo diveniva più insistente.

Tutto avvenne in un istante. Un lampo, una vampate che li scosse sin nel profondo del loro essere e l’Uomo Ragno e i suoi amici si ritrovarono riversi in terra. Il Tessiragnatele, per un istante, si era sentito squarciare dall’interno dal suo senso di ragno. Polidori era finito sul soffitto, gli occhi e le mascelle serrate, come se un grande dolore lo stesse straziando. I capelli ritti, quasi lo stesse percorrendo della corrente. Una luminescenza dorata creptava intorno a lui, un alone che coprì il morbido chiarore delle pareti. Cadde in verso il basso, all’improvviso, e il Ragno, anche se ancora intorpidito, riuscì a muoversi abbastanza rapidamente da intercettarlo.

“Grazie… ma non dovevi disturbarti… il Sancta Sanctorum è stato costruito affinché non potesse mai recare danno, neanche per errore, al suo custode.”

“Meglio non rischiare, non credi?”

Oh Madonna mia… c’ho er budello tutto rivoltato. Ah Polidò, prima ero n’orologgio de saccherosette, mò me sento come ah finta pajata.

Fece Rugantino che si era messo in ginocchio e portato una mano alla tempia.

“Dio mio… è stato terribile! Come se il dentista mi avesse tolto tutti i denti di botto e senza anestesia!”

Si lamentò Warwolf, ancora in preda alle vertigini.

“Allora. Che cosa hai scoperto? Cosa significa quello che è successo?”

Chiese l’Arrampicamuri preoccupato, rivolgendosi a Polidori.

Il volto di quello era divenuto improvvisamente cupo e serio. Si rimise in piedi ringraziando ancora l’altro e dopo aver ripreso fiato un attimo:

“Ho visto qualcosa di terribile. Ho visto la morte della Terra.”

 

 

Manatthan – Mercoledì ore 10.00 a.m.

 

 

Il furgoncino della ditta di riparazioni idrauliche era parcheggiato giù in strada da un paio d’ore ma Dominic Kuzchatcha era troppo nervoso per accorgersene. Si accese la settima sigaretta di fila e mandò un paio di violenti colpi di tosse. Prese la lattina di birra e ne mandò giù un po’.

“Fottuta birra di sottomarca…”

Imprecò senza neanche sapere il perché e la scagliò rabbioso contro il televisore, e subito una miriade di schizzi di schiuma si sparsero in terra.

“L’amico è nervoso!”

Commentò divertito Philip Corrigan mentre ascoltava attentamente in cuffia.

“Ha la coscienza sporca.”

Replicò con un sorriso Walter Scott, poco prima di mandare un giù l’ultimo sorso di succo di frutta alla pera tra i borbottii di Mansel che ne avrebbe desiderato un altro po’.

“Ci credo! Il tipo sta rischiando veramente grosso. Ha fatto parecchi passi falsi ultimamente e c’è un sacco di gente che lo vedrebbe volentieri con un bel paio di scarpe di cemento addosso.”

Fece cattivo il sergente Brady O’Neil.

“Mica solo la mala! Guarda qui che assembramento di polizia solo per braccare un fottuto figlio di puttana.”

Aggiunse come contributo alla conversazione il detective Sloane Chase.

Rucker lo guardò divertito:

“Un figlio di puttana con una fedina lunga da qui a Los Angeles. Il procuratore lo vorrebbe per il caso Starsisky. Tu per gli omicidi di Kerry Ottenberg e Linda Mullighan. L’F.B.I. perché è può essere implicato nel caso Dutch Anson. E noi… beh… noi perché potrebbe entrarci con la storia degli omicidi di quei due delinquenti.”

“Dominic è uno dei peggiori trafficanti d’armi che io conosca. Ha rifornito per anni gang e killers.”

Gli rispose Sloane.

“Sai, è bello collaborare con tanta brava gente come voi. Mi chiedo solo, quando lo prenderemo, come funzionerà la cosa?”

“Rucker, lo sai bene. Noi federali, puntualizzò Corriganabbiamo la precedenza. Poi c’è il procuratore distrettuale e… beh… tu e Chase forse lavorate a due casi che sono collegati, quindi voi ex equo.”

I due poliziotti si fissarono un attimo e poi si lasciarono andare ad una risatina.

“I soliti vecchi intrallazzi. Comunque io non sarei tanto certo che andrà come dici tu. Ricordati che il procuratore è ansioso di concludere un accordo con il nostro amico e quindi vorrà mettergli le mani sopra prima di voi. Non è vero B.?”

Fu il commento cinico e disincantato di Rucker che teneva in bocca già da qualche minuto una paglia senza averla accesa.

Chase gli fece l’occhietto complice osservando come Corrigan, con lo sguardo avesso subito cercato una smentita da  Brady che invece fece finta di nulla. Il federale tornò all’ascolto di quanto trasmettevano le cimici.

“Due a uno per la squadra di casa.”

Mormorò Chase.

“Federali go home…”

Sussurrò divertito Rucker.

“Oh cazzo! Esclamò Kuzchatcha facendo sobbalzare Corrigan alla sua postazione mentre era intento a spiare il delinquente. Che ci fai qui?! Come sei entrato?! Cosa vuoi da me?! Eravamo d’accordi di… hey… hey!!! Cosa cazzo!?! Oh merda!!! Oh merda!!!! Fermo!!! No… perché?! Perché?!?!”

“Cazzo! Qualcuno si è introdotto nell’appartamento del nostro uomo! Dobbiamo intervenire!”

Esclamò il federale togliendosi le cuffie e gettandole di lato.

“Rucker a squadra Alfa, gente si entra in azione! Attenzione, il sospetto è in compagnia, non sappiamo né quanti siano né se siano armati. Usate la massima prudenza! Non voglio nessuno senza giubbotto anti confetti. Sono stato chiaro? “

Rucker freddò un occhiata Walter e Mansel che ne erano sprovvisti e gli intimò:

“Non azzardatevi a muovervi di qui. Ho detto nessuno senza giubbotto e poi tu hai ancora il braccio messo male. Poi rivolgendosi agli altri colleghi Avanti banda di vecchietti. Facciamo vedere che siamo ancora in grado di condurre un operazione come si deve.”

Rucker scese per primo e si diresse verso l’entrata principale del palazzo dove si stavano dirigendo due agenti in borghese. Il resto della squadra stava passando dal retro e avrebbe fatto le scale, mentre loro avrebbero preso i due ascensori. I suoi colleghi lo seguivano, e come seguendo un già concordato piano non ebbero difficoltà a ripartirsi in due gruppi.

Il trafficante d’armi che stavano tutti cercando commerciava anche nello stesso tipo di armi che aveva usato il killer misterioso e Rucker era ansioso di farci quattro chiacchiere.

L’ascensore saliva rapidamente verso il piano dove si trovava il loro uomo e quando ne uscirono fuori fecero in modo di bloccarli entrambi in modo che nessuno potesse chiamarli. Giù qualcuno stava spiegando cosa succedeva ad un isterico portiere mentre gli altri uomini della squadra alfa erano giunti. Alcuni rimasero a sorvegliare le scale, gli altri si aggregarono al gruppo di Rucker e soci.

“Ok Rucker! Corrigan è il pezzo grosso tra di noi ma tu sei il più vecchio quindi, come si suol dire, ascoltiamo la voce della saggezza.”

Disse O’Neil con un sorriso cattivo.

“Solita procedura. Andiamoci cauti.”

Avanzarono lungo il corridoio, seguendo un paio di ragazzi che avevano fatto da apri pista e che si piazzarono ai lati della porta. Rucker si mise davanti e sussurrò in un attimo:

“Via!”

Con un calcio aprì la porta e si scansò rapidamente. I due agenti fecero irruzione seguendo quanto avevano imparato in accademia ma la stanza sembrava vuota. C’era  un disordine generale che indicava i segni di un tentativo di resistenza.

“Dove cazzo è finita quella merda!”

Chiese Sloane. Rucker aveva capito subito guardando l’acqua che fuoriusciva da sotto la porta del bagno. La aprì usando ancora una volta un calcio ed entrò puntando subito la pistola contro probabili bersagli che non c’erano. Il loro uomo se ne stava inginocchiato in terra, la testa infilata dentro il water da cui strabordava acqua.\

“Che bel casino del cazzo! Lo stronzo l’abbiamo trovato. Però dove è finito il tipo che gli ha lavato i denti?”

Rucker corse alla finestra che era aperta.

“Un tubo di scolo esterno!”

Esclamò tra i denti e guardò giù puntando subito la pistola. Era un figura piuttosto agile anche se massiccia, il volto coperto da quella che sembrava una maschera di cuoio, scivolava giù lungo il tubo. Il maturo poliziotto la teneva sotto tiro ma non poteva sparare. Nel vicolo sottostante c’erano dei ragazzi che erano rimasti ad osservare la scena.

“Oh porca troia! Preso Brady! Di hai ragazzi giù nell’atrio di precipitarsi nel vicolo! Il figlio di troia è in fuga…”

Per un istante quello alzò gli occhi è lo guardò. I loro sguardi si incrociarono e allora, in quel momento, capì. Era il suo uomo, senza possibilità di erroe e inoltre…

“Ha uno scanner!!! Intercetta tutte le nostre chiamate! Avverti i ragazzi che sa che stanno andando a prenderlo! Svelti, muoviamo il culo anche noi!”

Quello che successe nei momenti successi concitarti momenti fu piuttosto confuso e vago. Rucker ricordò il rumore di spari e una voce che nell’auricolare gridava uomo a terra.

Mansel e Scott avevano sentito tutto quello che Rucker e i suoi si erano detti per radio e avevano pensato di sorprendere il fuggitivo attendendolo dall’altra parte del vicolo. Il piano era buono ma non erano stati sufficientemente veloci e quello invece doveva avere esperienza, velocità e sangue freddo a sufficienza. Mansel era riverso in terra, Scott era vicino a lui e gridava frasi incomprensibili, cercando di farlo rimanere sveglio. L’uomo si era dileguato. Rucker osservava la scena chiedendosi se stessa davvero avvenendo oppure no…

 

 

Uno sporco vicolo del Greenwich Villane. – Mercoledì ore 5.00 a.m.

 

            Correva, ormai preda del folle terrore , fendendo la leggera ed insolita nebbiolina che si era levata quel mattino. Correva, cercando un luogo sicuro dove potersi rifugiare, invano. Qualcuno si affacciò alla finestra, lo guardò con aria spaesata, decidendo che cosa fosse quello spettacolo a cui stava assistendo, e rientrava dentro.

“Chiamate la polizia! Per amore di Dio! Chiamate la polizia!”

Urlava, sperando che il sangue che gli riempiva la bocca e i denti di cui era stato privato, non rendessero inintelligibile quella disperata richiesta d’aiuto. Mentre guardava in alto, incespicò e finì faccia a terra sul lercio asfalto ricoperto di rifiuti. La schiena gli doleva e da essa veniva un disgustoso odore di carne bruciata.

“Oddio… non abbandonarmi ora… te ne prego…”

Tentò di rialzarsi nuovamente, facendo appello alle sue ultime forze ma all’improvviso si alzò un vento fortissimo, così forte da fargli dolere la pelle come se centinaia di rasoi impazziti lo stessero colpendo con sadico divertimento. Gli occhi si riempirono di lacrime e urlò:

“Bastardo!!! So che sei tu! Vigliacco e assassino! E così che fai?! Prendi di sorpresa un povero Cristo che cercava solo un posto dove fare colazione e lo attacchi senza neanche presentarti?!”

Si sforzò di vedere attraverso la nube di polvere che l’improvvisa tempesta aveva alzato in tanti mulinelli rabbiosi e vide diverse indistinte sagome avanzare con l’incedere lento e sicuro del boia. Ne contò almeno venti. Dalla sua gola si levò un urlo strozzato e allora si voltò per scappare ma riuscì a fare solo qualche metro quando venne paralizzato da un’altra terrificante apparizione. Arrancò per l’aria che gli mancava e capì che quel vento lo stava sospingendo verso quella figura i cui contorni tanto incerti gli parevano. Sentì caviglie e polsi venire afferrati da qualcosa di freddo e liscio. Tentò in vano di divincolarsi, ricorrendo a quella forza prodigiosa che il destino, il cielo, come amava pensare, gli avevano fatto dono e di cui spesso si era così tanto vantato. Sentiva di essere tornato di nuovo bambino, quando suo padre, in preda ai fumi dell’alcool tornava a casa e dava il meglio di sé con lui e sua madre. Piangeva proprio come allora, con l’amaro sapore delle lacrime che finiva nella sua bocca e il naso che colava. La pressione aumentò e fu costretto ad inginocchiarsi in terra, le sue mani vennero giunte, come se si trovasse in chiesa pronto per la preghiera. Era tanto tempo che aveva smesso di entrare in chiesa e per la prima volta la cosa fu fonte di dispiacere per lui.

“Ma perché?! Perché proprio io?!”

Chiese ormai preda della consapevolezza che il suo destino era segnato.

“Raymond Coolridge. Le tue colpe sono molteplici, troppe perché si perda tempo ad elencarle. Ti basti sapere che la più grande di tutte, quella primaria, è di aver deciso di usare i tuoi talenti speciali non per già per fare del bene, ma solo per tuo personale tornaconto. Hai pensato sempre e solo a te stesso. Eri uomo di scienza, che avrebbe potuto e dovuto lavorare per migliorare le altrui esistenze. Invece quando il Fato ti ha donato questi poteri, tu hai solo e sempre perpetrato il male coinvolgendo innumerevoli innocenti che per questo ne hanno avuto a soffrire.”

La voce era fredda, metallica, distaccata, priva di qualsiasi sentimento. Gli parve provenire da un altro tempo, da un altro mondo.

“Ma chi siete?! Chi siete?!”

“Siamo quelli che non sono indifesi davanti a te. Siamo quelli che possono reagire. Siamo quelli che vendicheranno chi non può più farlo da solo.

Siamo il giudice, la giuria e il boia.”

Vide levarsi su di lui l’affilata falce della morte e allora, in quel momento, capì. Non c’era possibilità né di pentimento, né di redenzione.

Il verdetto era stato pronunciato ed era inappellabile. Ricordò le parole di zia Elena, in quei momenti che si dilatarono, fino a divenire un eternità:

“Sei un egoista! Non pensi che a te stesso. Questo sarà la tua dannazione un giorno!”

Vide la bocca dell’inferno spalancarsi ghignante davanti a sé, e seppe di essere destinato ad un eternità di orrori. Vide nella sua mente, ormai devastata dalla paura e dalla disperazione, il volto di sua madre divenire cianotico mentre moriva soffocata nella solitudine dell’ospizio a cui l’aveva relegata quando decise che l’unica persona verso la quale aveva delle responsabilità era sé stesso. Quegli occhi imploranti e pieni allo stesso tempo di recriminazione, erano gli stessi che ora lo fissavano. Chinò il capo, deciso di mostrarsi almeno rispettoso al cospetto della Tetra Signora, o forse perché incapace di sostenere oltre l’immagine dei suoi errori. La lama viaggiò rapida dall’alto verso il basso, attraversando la pelle, la carne e le ossa.

 

 Una passeggiata mattutina per schiarirsi le idee. Questa era nelle sue intenzione quella camminata senza meta iniziata a quell’insolita ora. Fu il nauseante puzzo di bruciato a richiamare la sua attenzione e a guidarla dentro quel sudicio e abbandonato vicolo. C’era un insolita nebbia che sembrava coprire tutto. Le sue scarpe da ginnastica cominciarono a fare un rumore strano, come quando si pesta una pozzanghera, anche se c’era qualcosa di diverso, quasi l’acqua fosse viscosa. Non aveva piovuto e la cosa gli parve alquanto strana. Urtò qualcosa e quando abbassò lo sguardo, incontro quello avvilito e allo stesso tempo impaurito di chi aveva visto l’essenza dei propri peccati. Uno sguardo per sempre congelato, come un isola inamovibile che galleggiava al centro di quel lago di sangue.

 

 

Villa Falconieri, Trastevere, Roma. – Mercoledì ore 10.22 p.m.

 

 

Ms Perfection guardò preoccupata il suo adorato padrone mentre rimirava le proprie mani tremanti.

“Perdonami se mi permetto ma non hai affatto una bella cera.”

Disse in tono apprensivo, pentendosene subito dopo. Temeva di aver detto qualcosa di fuori luogo per la quale si sarebbe attirata le sue ire.

Quest invece rimase calmo e sereno, sorridendole gentile con quella bocca carnosa e a forma di cuore che aveva imparato tanto ad apprezzare nell’intimità del letto.

“No, non sto molto bene effettivamente ma è colpa mia. Sono rimasto troppo tempo così. Purtroppo non ho avuto il tempo di trovarne un altro, tra le trattative con Nazion Mutante e la questione con i nostri amici del P.H.A.D.E. Per fortuna, ora che tra l’altro ho saputo che abbiamo gli articoli che mi interessavano, potrò dedicarmi un po’ a me stesso. Domani faremo un salto dal mio fornitore di fiducia qui a Roma e poi ripartiremo. Avrei voluto passare altro tempo qui, godermi ancora questa splendida città in tua compagnia ma devo pensare a pianificare l’altro lavoro.”

Perfection gli si avvicinò alle spalle e l’abbracciò da dietro, sfiorandogli con la mano il bel seno.

“Non preoccuparti, so benissimo che sei super impegnato. Credimi, apprezzo davvero ogni istante di tempo che riesci a trovare per stare con me.”

“Ed io lo trovo davvero volentieri il tempo. Dimmi, ti mancherà questa forma? Mhhh? Forse dovrei fare un bis, e sceglierne un’altra simile.”

“Questa non era male. Però quello che mi interessa non è certo l’abito…”

“…ma il monaco!”

Le fece lui, provocandone le risa.

Si irrigidì all’improvviso, sgranando gli occhi.

“Ma cosa diavolo…”

Non fece in tempo a finire la frase che gli allarmi della sua magione erano tutti scattati. Fece per alzarsi ma si ritrovò la strada sbarrata dal braccio di Ms Perfection.

“Spiacente. Ora entra in gioco la professionista pagata. E’ ora di guadagnarmi lo stipendio. So che vuoi andare di là per vedere di persona ma adesso non è il momento. Sei troppo debole, e lo sai. Rischieresti troppo usando adesso i tuoi poteri. Weird e gli uomini di guardia si occuperanno di tenere lontani gli intrusi, chiunque siano, per tutto il tempo necessario alla tua fuga. Coraggio, ora andiamo.”

Lanciò un imprecazione di disapprovazione ma cedette, consapevole di non essere nelle condizioni di poter affrontare uno scontro. Era sorpreso. Le onde cerebrali erano comparse improvvisamente, solo un istante, e poi erano sparite di nuovo. In qualche modo le stavano occultando, anche se sapeva benissimo di chi si trattava. Come erano entrati? Teletrasporto? Possibile non si fosse accorto di nessun segnale rivelatore? Imboccare il passaggio segreto nascosto dietro ad una delle pareti della stanza, percorrendone la galleria che sfociava in un garage a circa cinquecento metri di distanza. Si voltarono all’unisono incontrando gli sguardi dei quattro invasori.

 

Le pareti del garage esplosero in una miriade di macerie che finirono nel Tevere, sui tetti dei palazzi e nel giardino di fianco. Dopo quanto accaduto in via Nazionale, non c’erano molti turisti in giro e per fortuna erano completamente assenti in quella zona.    Quest venne fuori dalla galleria fumante, tossendo pesantemente. L’Uomo Ragno comparve poco dopo ma Perfection lo seguì immediatamente. Il Tessiragnatele si scansò in tempo per evitarne l’attacco e si fece di lato, pronto a fronteggiarla. Polidori fu l’ultimo ad emergere dal fumo e dalla polvere, il volto torvo e annerito.

L’Uomo Ragno gli gettò un occhiata preoccupata, e quello ricambiò con una rassicurante, come a dirgli che sapeva ciò che faceva.

L’Arrampicamuri assentì e tornò ad occuparsi della guardia del corpo di Quest. Il mago guardò lo spregiudicato affarista e qeust’ultimo gli disse in tono divertito:

“Complimenti! Siete riusciti ad entrare nella mia casa e a portarvi lo scompiglio ma ora non pensiate di potercela fare contro di me!”

La replica di Polidori fu immediata, alzò il braccio destro al cielo ed esclamò:

“Per Giove Pluvio! Invoco il Fuoco Celeste! Che gli Strali della divina vendetta castighino l’empietà estranea a questo Mondo!”

I nembi accorsero subito molteplici al suo richiamo e nel giro di pochissimi secondi divennero un mostro nebuloso che vorticava sul capo di tutti loro. Da esso si levò come un feroce ruggito, il grido antico del vento e della tempesta. Una procella si scatenò all’improvviso e Quest si ritrovò colpito da una lingua candida. I suoi abiti, già lacerati, andarono in cenere così come gli strati esterni della sua pelle, le labbra, le orecchie e le palpebre.

“Tu…”

Ringhiò dalla bocca ormai priva di lingua ma prima che potesse fare qualcosa, una raffica arancione lo colpì in pieno petto, facendogli esplodere il seno i cui capezzoli erano stati già stati distrutti. Il suo corpo fendette l’aria andando a finire contro l’argine del fiume, sfondandolo, e vi finì dentro.

L’Uomo Ragno era incredulo. Perfection urlò disperata. Rugantino e Warwolf, arrivati in quel momento osservarono la scena, le teste carichi di interrogativi.

Le spalle di Polidori si alzavano e si abbassavano velocemente. Il respiro era pesante anche se regolare. Gli occhi socchiusi e la bocca aperta mentre reclamava aria per i polmoni. La mano sinistra testa davanti a sé, il palmo e le dita ancora percorsi da una vaga luminescenza che tremolava e si spegneva a poco a poco.

Fissava davanti a sé, senza distogliere lo sguardo, consapevole che la prima mossa era stata la sua.

Ora era da vedere se anche l’ultima lo sarebbe stata.

 

 

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Grazie ai miei amici, Jordi e Andrea in particolare, e ai lettori, che sono tra le principali ragioni per cui scrivo.

 

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